Moscatello di Taggia: un nuovo antico vino.

Il moscatello di Taggia è un vitigno a bacca bianca originario della riviera ligure di ponente, entrato a far parte della DOC Riviera Ligure di Ponente, con l’istituzione della sottozona Taggia, nel 2011.

Proprio la zona di Taggia, nel basso medioevo, era associata alla produzione di uno storico vino, il moscatello, vino che veniva descritto come “un nettare dolcissimo”. La coltivazione di questo vitigno persiste nella zona compresa tra la Valle Armea, la bassa Valle Argentina e il tratto di costa compreso tra Santo Stefano al mare e Ospedaletti; la distintiva denominazione “di Taggia” parrebbe suggellare una specie di DOC ante litteram.

Taggia nel medioevo era un centro vinicolo di rilevanza internazionale, commercializzando sia vini comuni sia vini di qualità superiore, proprio come il moscatello; questa zona della Liguria si era infatti specializzata nella produzione di vini dolci e liquorosi, che fino al Duecento era prerogativa delle regioni dell’Oriente Mediterraneo. Nel medioevo il vino era considerato come un alimento a consumo locale per la popolazione, ma il moscatello e la vernaccia, avendo un contenuto zuccherino e una gradazione alcolica maggiori, si dimostrarono più adatti ad essere trasportati per lunghi viaggi e quindi più facilmente commercializzabili. Nel 1400 il vino di Taggia veniva imbarcato dai mercantili che da Savona e Genova raggiungevano il Nord Europa, l’Inghilterra e le Fiandre, spinto anche dalla fama imprenditoriale di alcuni mercanti genovesi; il carico di vino trasportato era talmente prezioso che nel 1434 venne proibito alle navi che trasportavano moscatello di caricare altro vino lungo la rotta, se non quello da destinarsi al consumo dell’equipaggio. Durante il XVI secolo, a seguito di un cambiamento della destinazione colturale dei terreni, la produzione di moscatello si ridusse, diventando una nicchia di mercato riservata ad una cerchia ristretta tra cui papi (Sante Lancerio, bottigliere di Papa Paolo III), dogi e altri nobili. Tra il XVI e il XIX secolo nel sanremese avvenne una importante modificazione del panorama agricolo a favore dell’olivicoltura: in un documento risalente al 1689 i terreni destinati alla coltivazione di olive erano il 50% mentre quelli vitati occupavano solo il 17%. Tra il ‘700 e l’800 una serie di eventi climatici ridussero ulteriormente la coltivazione di moscatello, così come l’amministrazione francese seguita all’occupazione napoleonica permise di mescolare uve molto diverse tra loro per produrre i “nostralini”, vini a basso tenore alcolico e di scarsa commerciabilità. Ma il vero colpo di grazia al moscatello venne inferto intorno al 1880 dalla fillossera.

E’ invece nel 2000 che rinasce il moscatello, grazie all’intervento di Eros Mammoliti e Gianpiero Gerbi, enologo ma all’epoca giovane laureando in viticoltura ed enologia. Insieme decisero di rintracciare le viti di moscatello sparse tra gli agricoltori del sanremese per ritrovare il vero moscatello: isolarono 67 piante. Grazie all’aiuto della professoressa Schneider dell’Università di Torino e a moderne tecniche di biologia molecolare, fu possibile isolare dagli iniziali 67 campioni la pianta che poteva essere considerata puro moscatello. Proprio da quell’unica vite risorse il moscatello che grazie alla tecnica dell’innesto ha reso possibile ad oggi la propagazione di oltre 15.000 barbatelle.

Encomiabile lo sforzo di Eros Mammoliti che, mosso dalla passione di ridare nuova luce ad un vitigno scomparso, decise di intraprendere una strada difficile. Ci racconta che la curiosità per il moscatello nacque durante una cena: “Una nostra amica stava leggendo «L’Ambrosia degli Dei» (di Alessandro Carassale, Atene Edizioni, ndr), per la prima volta sentivamo parlare del moscatello e la sua storia ci affascinò”. Passeggiando tra le sue vigne site in Valle Armea, sulla strada che porta a Ceriana, lungo la ciclistica Milano-Sanremo, si respira l’aria della passione che questo produttore infonde nel suo lavoro, del rispetto che ha per le sue viti e per la storia dei vitigni autoctoni del ponente ligure; ci mostra il suo “Jurassik Park” dove sono coltivati alcuni vitigni autoctoni antichi, a scopo di studio (cruairora, russetta, barabarossa, luglienca, malaga, moscatellun, tabaca, spina, ecc), ed una vite di moscatello con un piede di alberello di più di 40 cm di diametro. Nel 2014 ha fondato l’Associazione dei Produttori, raggruppandone 10, alcuni volti noti come Calvini, Podere Grecale, Da Parodi, altri in fase di crescita; ad oggi si contano 14 produttori e tutti contribuiscono, in diversi modi, al rilancio del moscatello. L’azienda di Mammoliti non produce solo moscatello, riservando sempre un occhio di riguardo a produzioni di nicchia autoctone: un clone più aromatico e più colorato di Vermentino chiamato “du sciancu” ossia dello “strappo” il cui grappolo presenta una appendice da strappare; un Ciliegiolo dal grappolo più compatto; il Rossese.

I suoi prodotti godono della certificazione di vino prodotto a basso impatto ambientale, come recitato dalla retroetichetta, riducendo al minimo l’intervento dell’uomo in vigna; è inoltre membro della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti dal 2010, di cui sfoggia con orgoglio il logo.

Abbiamo degustato per voi:

– Lucraetio 100% Moscatello di Taggia, annata 2016, 13% alc. variante secca: fermentazione in acciaio con pressatura sofficie ad 1 atmosfera a temperatura controllata. Nel calice si veste di un giallo paglierino dai riflessi dorati, al naso di apprezza un bouquet di erbe aromatiche, agrumi, limoncella. Al palato spiccano, piacevoli ed accantivanti, frescezza e sapidità. Assolutamente da provare con il brandacujun, un piatto tipico della cucina ligure a base di patate e stoccafisso.

– Lucraetio 100% Moscatello di Taggia, annata 2015, 14,5% alc. variante passito. I grappoli raccolti nei mesi di agosto-settembre, vengono fatti appassire in cassette per circa 2 mesi, girati ed analizzati per scartare quegli acini che rischierebbero di danneggiare il prodotto finale. Una microproduzione di 416 bottiglie. Un residuo zuccherino di 109 gr/l è il preludio di un vino che sa di storia. Signorile, si distingue per un raffinato giallo dorato; appena stappato riempie l’aria di sentori che ci portano in pasticceria, al momento in cui scartiamo un panettone, ricco di mandarini canditi. Al palato dolce ma non stucchevole, morbido, incredibilmente fresco. Proposto ad una serata promossa dall’istituto Aberghiero di Arma di Taggia in accompagnamento ad una bavarese di ricotta di pecora con arance candite, ma Eros ci raccomanda anche formaggi di media stagionatura ed erborinati.

Degni di nota sono anche Epicuro, un vermentino, e Democrito, un blend di rossese e ciliegiolo. Tutti i vini portano nomi altisonanti della letteratura greca e romana, come a ricordare sontuose origini antiche; le etichette sono opera di un pittore locale Diego Fossarello.

Ci piace pensare ad Eros come a Mario Calvino, padre di Italo Calvino, che diede un grande contributo alla viticoltura del ponente ligure, reintroducendo varianti andate quasi perdute. E’ orgoglioso di questo territorio mentre cammina tra i filari di moscatello, fiero del percorso che insieme a pochi ha intrapreso, affinchè la storia del Moscatello di Taggia non venga dimenticata.

Un pensiero su “Moscatello di Taggia: un nuovo antico vino.

  1. E una cosa straordinaria che ha creato Eros e tutti quelli che hanno fatto risorgere questo vino tanto celebre in passato hanno compiuto un lavoro straordinario ancora tanti auguri di Buon Lavoro Vincenzo Natta

Rispondi