La filosofia nell’anfora

Qualcuno dice che Josko Gravner sia un tipo strano, talvolta burbero, difficile da trattare; io non lo so, perché non mi ė mai capitato di incontrarlo. Però ho avuto la fortuna di incontrare la figlia Mateja: una donna fine, elegante, colta, disponibile e decisa. Che, in maniera appassionata, è riuscita a trasmettere la passione sua, e ancora prima del padre, per la produzione ‘naturale’. Si, con le virgolette, perché ‘naturale’ ha molte accezioni. E quella che segue si declina in una evoluzione motivata verso il vino in anfora. Josko produceva in botte, poi ha fatto una gita negli Stati Uniti e ha scoperto le aromatizzazioni del vino; pensava in una stortura americana ma, tornato in Italia, si è imbattuto in un altro ‘vino’ con gli stessi aromi percepiti in USA. Dove si sta andando, perché storpiare un prodotto naturale, ha pensato… In un altro giro, in Georgia, scopre le anfore: un contenitore naturale già in uso all’epoca degli antichi greci per trasportare vino ed olio, impermeabile e, nel modo d’uso georgiano, interrato, quasi un tutt’ uno con la terra in cui cresce la vite. Una folgorazione! E così costruisce la cantina: muri di pietra a secco, contenimento interrato in cemento con pali profondi 12 metri, ma senza fondamenta; in modo da lasciare in collegamento, senza soluzione di continuità, la terra in cui cresce la vite con la terra in cui sono ‘annegate’ le anfore dove i frutti della stessa vite fermentano. Un flusso vitale continuo, ininterrotto. E sperimenta, fino ad arrivare a definire che le lunghe macerazioni sono perfette, nelle anfore; contenitori da 200 litri spessi solo 2 o 3 centimetri, che consentono la dissipazione del calore della fermentazione nella terra in cui sono immerse, terra che in cambio restituisce il fresco. Le fermentazioni sono lente, nelle anfore: così, le lunghe macerazioni consentono di estrarre bene dalle bucce non solo i lieviti indigeni, ma anche tutta la ‘struttura’ dell’acino, oltre al colore. E così il vino risulta molto carico, soprattutto i bianchi. Rimane un po’ torbido, perché non filtrato; e ha sempre una leggera ossidazione, perché le anfore sono solo coperte da un coperchio in appoggio. Ma non è finita qui. Il vino, come un bambino, va fatto maturare; se, nel percorso di crescita, prende una brutta piega, va raddrizzato. Per poi arrivare a al momento della vendita solo quando è pronto. Perché il consumatore paga e deve avere il massimo. E, siccome noi siamo quello che mangiamo e beviamo, deve avere un prodotto ‘naturale’: e cosa c’è di più naturale di un vino che è nato, come un bambino, con un cordone ombelicale che lo collegava alla madre vite?

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