Una giornata al salon des vins des Vignerons Indipendants

Vignerons

Parigi, 2 dicembre 2017, ore 10.15

Sto andando in metropolitana con mia moglie e l’amico parigino Raymond verso Port de Versailles, la fermata per andare alla più grande fiera mercato francese dei viticoltori indipendenti. Per chi non lo sapesse, il movimento dei viticoltori indipendenti, presente anche in Italia, raccoglie quei produttori di vino, non necessariamente da poche bottiglie e quindi magari con 30 o più ettari vitati di proprietà, che perseguono una idea di non omologazione del vino, quindi al di fuori delle grandi case vitivinicole, magari con metodi di produzione biologici o biodinamici oppure che sperimentano vitigni poco conosciuti.

Entriamo nella struttura fieristica e vediamo un salone nautico …. Avremo sbagliato? Ma no, sono in corso più eventi in contemporanea… ed infatti, dopo alcuni metri, ecco il manifesto della fiera che stiamo cercando. Il colpo d’occhio è impressionante, per essere teoricamente une evento di nicchia: quasi 6000 produttori distribuiti ordinatamente in un grande padiglione.

Ogni vìgneron ha davanti al proprio stand un secchio che serve da sputacchiera (per chi non vuole ubriacarsi troppo in fretta e preferisce degustare solo un piccolo sorso) e tiene un po’ di acqua per farti sciacquare il bicchiere se necessario. A fianco e dietro tante, tante scatole del proprio vino. Ma pensano davvero di vendere tutto? Mi avvicino al Domaine Martin-Faudot, un produttore dello Jura, zona ad est della Borgogna, sopra la Savoia. E vedo che sta compilando ricevute su ricevute, prendendo assegni e carte di credito; e così dappertutto.

È davvero una fiera-mercato, tanta gente con i carrellini o grandi trolley (!!!) che gira per gli stand a comperare cartoni su cartoni. E i prezzi non sono inavvicinabili, si va dai 6/7 Euro per i vini ‘base’ ai 40 a bottiglia per un premiere cru di Borgogna.

Chiedo di degustare l’Arbois vin jaune 2010, e subito sento aromi intensi di noce, muschio, note ossidate; già al naso si percepisce l’acidità che in bocca prorompe cercando di bucare lo stomaco, finendo però con una sensazione dolce e fresca. Accompagnato ad una toma stagionata risulta un abbinamento decisamente armonico, perché l’intensità e la persistenza del vino ben si sposano con le analoghe sensazioni del cibo.

Proseguo nelle degustazioni e trovo un Macon Milly-Lamartin bianco, 100% chardonnay, più morbido del fratello maggiore Puligny-Montrachet 2015 assaggiato prima.

Adesso vi scrivo una osservazione da ‘media del poĺlo’, ma che rispecchia la mia impressione generale: il vino francese è meno caldo e più fresco di quello italiano, probabilmente per la minor insolazione e una maggior generale mineralità dei terreni. Anche se per esempio il Sancerre cuvèe des M.A.G.E.S. 2015 del Domaine Serge Laporte offre sentori più floreali, poco erbacei, nemmeno una nota di foglia di pomodoro, tipica del Sauvignon, risultando morbido e abbastanza fresco in bocca.

Dietro gli stand tante donne, di tutte le età: nessuna standista, tutte vigneron; e ci sono anche molte donne tra i compratori: in Francia l’emancipazione femminile nel mondo del vino è molto più avanti che in Italia, anche se per fortuna ci stiamo pian piano adeguando.

Una gentile signora della zona dello Chablis mi spiega le differenze di annata tra il 2015, annata calda che ha consentito una ottima maturazione dello chardonnay che sprigiona aromi di ananas maturo e in bocca risulta morbido, e l’annata 2016, più fresca e piovosa, che lascia in bocca sentori agrumati.

Un assaggio di Pinot nero di Borgogna non lo posso perdere, e opto per il Domaine Huguenot Padre e Figlio: il Vieilles Vignes 2015 ha note crocccanti di frutta mista, insieme a rosa rossa e già una nota di pepe bianco, mentre il Fontenils premiere cru 2015 è ancora troppo giovane per esprimere tutte le sue potenzialità, risulta quasi chiuso.

Mi ha colpito il Chinon bianco 2016, 100% Chenin, di Couly-Dutheil: molto fruttato, sentori di albicocca che ricordano in Viognier, pesca, fiori freschi, in bocca abbastanza caldo con un finale che lascia la bocca fresca.
Sono le 16, finiamo con un moscato fermo dolce che lascia in bocca il sapore leggermente amaro della mandorla e, come quasi tutti i vini degustati, termina con una sensazione piacevolmente fresca.

È ora di riprendere la metropolitana, mentre in testa, nel naso ed in bocca si rincorrono il turbinio di sensazioni, sentori e gusti di questa fantastica giornata.

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