Il Beaujolais è un territorio poco conosciuto a noi italiani. Le informazioni che ne abbiamo sono irrimediabilmente viziate dal vino novello, quel Beaujolais Nouveau che appare sugli scaffali francesi il terzo giovedì di novembre.
Inutile dire che non è così, perché il Beaujolais è un territorio vasto, con una ricchezza incredibile dal punto di vista dei terroir, seconda forse solo a quella della Borgogna e un paradosso ampelografico raro: un singolo vitigno coltivato, il Gamay.
Il viaggio
Procedendo da Lione a Mâcon, si incontra prima a sud il vasto territorio di produzione del Beaujolais e Beaujolais Villages, poi si arriva nella zona dei cru.
I cru
Attualmente essi sono (più o meno in ordine di importanza, anche se moltissimo dipende dalla mano del singolo produttore):
- Brouilly
- Côte-de-Brouilly
- Régnié
- Chiroubles
- Fleurie
- Chenas
- Julienas
- Saint-Amour
- Morgon
- Moulin-à-Vent
I luoghi della visita
A dire la verità, la cosa più interessante da vedere in Beaujolais è il paesaggio: dolci colline vitate, sormontate da boschi di roveri, digradanti, a est, verso la valle della Saône. Partendo da Belleville dove, nascosta dietro alle due strade anonime di una cittadina di provincia, c’è una bellissima chiesa duecentesca romanica borgognona, si incontrano moltissimi pittoreschi villaggi:
- Beaujeu, con grande e bella chiesa romanica
- Moulin-à-Vent, nel comune di Romanèche-Thorins, folkloristico mulino a vento (fermo) su un colle. Tutto intorno, ovviamente, vigne
- Corcelles, con l’antico castello
- Fleurie, villaggio molto grazioso, sovrastato dalla cappella della Madonna, con vista mozzafiato
- Saint-Amour, il cui bel borgo è dominato dalla bella chiesa romanica
- Morgon, Chenas, Julienas, Régnié-Durette, Chiroubles, Villier-Morgon e Brouilly. piccoli villaggi molto simili tra loro, caratterizzati da una strada che li attraversa, la chiesa e il municipio
- Vaux-en-Beaujolais (Cantemerle) è molto simile agli altri paesetti, ma è arroccato “all’italiana” sul costone della collina (gli altri villaggi sono molto più francesi, sulla cima o sul falsopiano), famoso, in Francia, perché vi è ambientato un noto romanzo giallo
I terreni
Quando la Borgogna era ancora sommersa dal mare, il Beaujolais ne rappresentava la costa granitica e, infatti, il terroeno è per lo più composto di granito rosa con gneiss (Morgon) e manganese (Moulin-à-Vent) e di sabbie granitiche (Fleurie). Alcune zone hanno anche porfidi rossi. Verso valle, i classici suoli argillo-calcarei, adatti soprattutto per i villages e i bianchi. Nelle zone di Py, sopra Morgon e del monte Brouilly, infine, le incredibili pietre blu basaltiche, di origine vulcanica. Non a caso il Morgon della zona di Py presenta struttura e mineralità fuori dall’ordinario. Nel comune settentrionale di Saint-Amour, che amministrativamente appartiene già alla Borgogna, è presente la maggior parte dei terreni. Saint-Amour era il limite della piattaforma granitica prima dell’antico mare che sommergeva la Borgogna.
La viticoltura
L’aspetto più stupefacente della viticoltura del Beaujolais è la presenza costante della potatura a Gobelet, l’alberello a calice con quattro o cinque “corna”. I ceppi sono posizionati su reticoli con maglie di un metro di lato, per un totale, quindi, di ben 10.000 piante a ettaro. Il lavoro è davvero tutto manuale e le rese molto basse (mai oltre i 50 hl/ha).
L’attenzione all’ambiente
A dire la verità, questo è un po’ il punto dolente. Risulta davvero difficile distinguere, anche data la stagione invernale, quale sia la percentuale di vigne diserbate. L’impressione è che ci siano piccole aree dove c’è grande rispetto della vigna (forse un 5% del territorio) e che sul resto ci sia vasto uso di trattamenti. Certo è che lavorare in vigna con il gobelet è pura follia. Se poi è vero che nella vicina Saint-Aubin, in Borgogna, si fanno i trattamenti dall’elicottero (come da noi in Prosecco) per via delle vigne impervie, tutto fa pensare che anche qui si ricorra a sistemi estremi. Ciononostante, ci sono molti piccoli produttori che hanno un grande rispetto della vigna. Frédéric ci tiene a farmi vedere i vermi che smuovono le zolle nella sua vigna di Regnié, anche Anita mi porta in mezzo alle vigne che sembrano curate con occhio alla natura. Gregory, però, è caustico: il gobelet va estirpato, modificato in guyot o anche sostituito da nuovi impianti. La meccanizzazione è il compromesso necessario per crescere nella qualità, mantenendo alta la produzione.
Insomma, qui il discorso è abbastanza chiaro. C’è chi il vino lo fa in vigna e chi il vino lo fa in cantina. Due filosofie sostanzialmente agli antipodi.
C’è tuttavia anche chi sta nel mezzo, come nel caso della grande cooperativa Vinessence, che ha addirittura creato un protocollo denominato TerraVitis per ridurre i trattamenti e, soprattutto, tracciarli. A me, sinceramente, l’idea di queste cooperative, moralmente, piace. Ammiro molto l’efficienza e al contempo l’indirizzo sociale dell’istituzione.
Visite
Abbiamo visitato:
Chateau du Chatelard
Vasta gamma di vini. L’enologa ha uno stile molto tradizionale e i vini sono ciò che ci si aspetta. Fleurie molto interessante, particolarmente floreale e fruttato ma allo stesso tempo fine.
Chateau de Corcelles
Il castello è molto bello anche se si visita davvero poco. Il vino abbastanza ruffiano, soprattutto il rosè, meglio il Brouilly.
Les Bertrands
Scelgono la biodinamica per volontà del giovane Yann. Le bottiglie sono davvero evocative. I vini son un po’ chiusi e vanno aperti un po’ prima.
Zordan Grand Pres
Claude è simpaticissimo. Beviamo insieme come due vecchi amici. Mi racconta i suoi vini con una passione estrema. Morgon è buono ed il Fleurie Spaciale molto interessante. Mi viene da dire… è difficile fare un morgon cattivo. Claude mi racconta (in parte lo aveva fatto anche la signora Bertrands) delle vendemmie disastrose degli ultimi due anni e della necessità di acquistare le uve per produrre. Lo stile è molto netto, vagamente ruspante. Le bottiglie belle.
Domaine des Ronzes
Frédéric è una persona che trasuda semplicità e ottimismo. Il Régnié è da bottiglia col buco. Il luogo è molto bello.
Chateau de Pizay
Il direttore tecnico Dufaitre mi racconta di questo castello bellissimo e storico, mi spiega molto bene i terreni e le differenze tra i vini che ne risultano. Visito il percorso formativo autodidattico al piano inferiore della bellissima boutique di degustazione. Il percorso è illuminante e mi fa molto pensare anche alla didattica nostrana, spesso poco suffragata dalla pratica.
Domaine Anita
Anita è una piacevolissima giovane signora, con begli occhi azzurri e unghie tagliate come solo chi lavora in vigna può vantare. Il suo vino è vero ma molto fine. Buono lo Chenas, eccellenti nella loro diversità i due Moulin a Vent, uno raccolto di notte, l’altro con cuvee borgognona e passaggio in legno.
La Pirolette
A La Pirolette ti viene subito voglia di viverci. La villa è bellissima, il domaine moderno, ma nel rispetto della tradizione. Gregory Barbet è più che vignaiolo, diciamo pure, un imprenditore del vino. Ha capito benissimo che il futuro del Beaujolais è diventare una meta turistica ed è convinto che fare un prodotto di qualità farà di questa zona una piccola Borgogna.
Vinessence
Il direttore Philippe Marx mi guida (in italiano) alla scoperta di questa realtà interessantissima, come tutte le grandi cantine sociali. Il contesto e la visita mi ricordano quella fatta la scorsa estate a Girlan.