Cocconato (AT), nel Monferrato: paese famoso per una azienda nata con la produzione di indumenti in pelle e ora a tutti gli effetti una azienda che produce vestiari; famoso per la robiola: fresca, morbida, perfetta in estate, magari con un filo di olio e un po’ di rucola, a forma di disco volante (o di disco senza foro centrale, se non volete pensare che un assaggio vi può portare tra i cieli).
Eppure, in questo piccolo paese del Piemonte, dove la piazza, al centro, è lastricata di pietra e intorno trovi il bar, il tabaccaio, il giornalaio, il panettiere e, appunto, la latteria, una famiglia nel 1998 ha deciso di reimpiantare la vite, una pianta che una volta occupava tutti i declivi, ora quasi del tutto coperti da boschi.
Ha disboscato per tre anni, perché togliere le radici ad alberi di decine di anni non è uno scherzo. E poi ha piantato i primi due ettari sotto casa, terreno calcareo esposto a sud che ha una pendenza quasi da brivido, scegliendo di coltivare in maniera bio: appunto, come dal loro slogan, ‘bio per scelta’.
Una scelta che alla fine dello scorso millennio era coraggiosa, molto più di oggi, quando sta quasi diventando una moda. Hanno la casa che sembra sospesa a guardare le colline di fronte; da lì il loro terreno quasi non si vede, perché pare iniziare sotto le fondamenta. Sono una famiglia simpatica, entusiasta del loro lavoro, l’azienda non poteva che chiamarsi ‘Poggio Ridente’. Luigi, bravissimo enologo, vi mostra con orgoglio non solo le vigne, ma anche la terra, grigia, dove ti viene da pensare che non possa crescere nulla.
E invece i boschi ci sono dappertutto, intorno alle vigne della famiglia Dezzani (ma la proprietà è di Maria Zucca, la moglie). E i vini? Che bello tenere in mano il bicchiere della loro Barbera ‘Vallìa’ – il declivio sotto casa – e sentire subito profumi di frutta rossa e di pietra focaia, con una nota di mare; sì, di mare: perché i terreni di questa zona, forse milioni di anni fa, erano coperti dal mare. E il mare ha lasciato che il vino di queste terre lasciasse in bocca un finale sapido, quasi salato, che, però, completa egregiamente il percorso gusto olfattivo della frutta che, dal naso, passa alla bocca.
Ho regalato una bottiglia di questo vino ad un amico ottantenne della zona; al primo assaggio mi ha detto: è il sapore della Barbera della mia terra, che bevevo quando ero giovane; e mi ha sorriso… che emozione veder rinascere la vite in un luogo dove una volta c’era e poi se ne era quasi persa memoria! Ma non dimenticate che anche gli altri vini: Albarossa, Ruchè (si, Ruchè di Castagnole, fatto con uve di una azienda rilevata qualche anno fa), Monferrato bianco da Riesling, Viognier, Bussanello (!!!), sono tutti con un naso molto intenso, biologici, senza quella ‘puzzetta’ che spesso accompagna la cosiddetta ‘naturalezza’; perché, se lavori pulito, con uve sane, e il vino lo sai fare, il biologico diventa una marcia in più. E allora, biologico… perché no?