Il potere in un bicchiere

Non credevo che un bicchiere potesse far risplendere a tal punto un colore, eppure quel calice si era illuminato, ed il mondo attraverso di esso. Non si trattava solamente di un colore, era un emozione che lenta si sprigionava intorno a quella ampolla, si proiettava solitaria e spregiudicata, stagliandosi ad un livello nettamente superiore.

Il mio atteggiamento era diventato istantaneamente di deferenza, quasi come in chiesa davanti ad un oggetto sacro: non osavo toccarlo, figuriamoci berlo. Ma quello era pur sempre un vino: era il succo di un frutto, di una pianta, della terra, si trattava di un prodotto agricolo.

Scelsi di impadronirmene, non sarebbe importato il giudizio che avrei dovuto produrre, ne se ne sarei stata in grado, quello doveva essere senza dubbio un vino eccezionale, e cosa altrimenti? provai lo stesso ad avvicinare il bicchiere al volto.

Tralasciando tutti i dubbi che assalirono la mia mente riguardo alle mie competenze di degustatrice, mi fissai sul fatto che mi fidavo di lui, mi avrebbe attirato a se, confermando la capacità che spesso vorrei possedere di riconoscere le essenze uniche, la bellezza semplice.

E con stupore, al naso, eccolo, si presentava deciso ma indubbiamente semplice. Profumava di sentimenti: tranquillità, dolcezza, paternità e di una grande fermezza. Io sono, diceva, con una voce decisamente maschile. Io ho vissuto, ho allietato animi altrove, ho comandato, ho accompagnato.

La viola di un’acqua di colonia, mischiata al gusto del sangue, muschio e miele caramellato, il sentore di tabacco rimasto in una tabacchiera d’argento, che sa di ossidato a sua volta, il cuoio di una sella lucida e secca, la terra umida che sporca gli stivali, il profumo alcoolico di una lozione per la pelle.

Matta, pensai, non può ricordarti la pelle, eppure si, quello era il dolce, fragrante e caldo profumo della pelle di un uomo. Ed un frutto rosso e pieno era il suo bacio, che si espande tenero in bocca, rendendo la lingua vellutata e sprigionando una enorme freschezza.

Si trattava dunque di un vino dall’ego spropositato, sì perché era stato lui che, nonostante la sua parvenza eleganza e sobrietà mi aveva attirato a sé! Era stato lui a parlare di sé. Era stato lui a dirmi:

..io non ho paura di colui che mi assaggia! Al più gli stolti non mi noteranno neppure, con quelle loro papille bruciacchiate, diranno che sono un tipo strano, troppo difficile, scambieranno la mia austerità per mediocrità addirittura, ma la verità e che non ne capiscono niente, e che quando bocche altrui porteranno alle loro orecchie i miei fasti, le mie vittorie, essi mi temeranno, invidieranno la mia forza, la mia lunghezza infinita, la mia naturale eleganza. Essi sono gelosi soprattutto dei miei soldati, che mi vezzeggiano dal momento del loro concepimento, in seno a famiglie a me devote da generazioni. E così dei miei generali: essi si battono come minatori esausti per me! Ma io, io li ripago con grandi decorazioni e fama e prestigio. La frivolezza non mi appartiene, e le donne? Loro ne sono sedotte, e io? Io resto il numero uno, mi allieto di compagni d’arme, solo uomini, s’intende! Parce-que je suis le Pinot Noir, je m’appelle Latricières Chambertin et si tu veux tu viens, mais tu viens derrièr !.

Il Latricieres Chambertin grand cru in questione è di Luis Remy (o forse è più corretto dire M.me Chantal Remy?), vendange 1997; ed è, a mio avviso, un vino dal carattere eccezionale, in grado di parlarti al cuore in maniera diretta e restarti nei pensieri per molto tempo, difficile trovarvi alternative.

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