Nel mio lungo viaggio alla ricerca dell’emozione, mi imbatto, in una notte di mezza estate, in una lunga teoria di verdi bottiglie. Gli scudetti déco che le ornano raccontano un sogno, trasformatosi in realtà poco meno di cent’anni fa.
A Epernay nacque, nel 1921, la prima cuvée de prestige della storia dello champagne, destinata ad arrivare nelle flûte solo quindici anni più tardi.
Un vino sempre e comunque emblema del lusso, inconfondibile, a partire dalla bottiglia, che riprende, forse, le forme delle settecentesche bottiglie di Hautvillers, le prime adatte a resistere alle pressioni della rifermentazione.
Un nettare delizioso, al di là di qualsiasi possibile preconcetto. Sì, il Dom Perignon è buono: lo è, soprattutto, quando qualche anno invecchia l’etichetta. È allora che si esprime nella sua complessità olfattiva.
Ma la bocca no, la bocca è sapidamente emozionante anche sui millesimi più recenti, regalando al palato persistenze infinite.
Un sogno che disseta senza mai stancare. Un sogno da vivere e rivivere, tanto nell’esperienza di una P2, forse troppo giovane, quanto nel millesimo 1998, ancora così giovanile nella sua raggiunta complessità all’olfatto e al gusto, concludendo il viaggio nello sconvolgente millesimo 1976, dove mai diresti d’essere di fronte ad un vino vecchio di quarant’anni e ancora esuberante.