Live Wine 2019, una passione che unisce

A mio parere è un bene che si stiano diffondendo eventi di promozione del vino artigianale, che sempre più spesso va di pari passo con il concetto di ‘naturale’, ovvero con pochi o nessun intervento ‘artificiale’, in vigna o in cantina. E questo per due grossi ordini di motivi: la biodiversità e la non omologazione sono valori importanti, anche nel modo nel vino; inoltre, tutto quello che viene dato alle viti o inserito nel vino, finisce nel nostro corpo, quando lo beviamo, quindi…
Al Live Wine 2019 c’erano circa 120 cantine, non solo italiane, ma anche austriache, francesi, slovacche, dalla Repubblica Ceca, dalla Spagna e dall’Ungheria, oltre ad alcuni importatori e distributori di piccoli produttori. C’erano alcuni nomi italiani oramai noti, come Emiddio Pepe o Marco De Bartoli, e piccole realtà appena nate, di pochi ettari, tutti appassionati nel raccontare il loro concetto di vino ‘non industriale’.
Vi racconto alcuni incontri che mostrano, attraverso gli attori principali, i produttori, diverse sfaccettature del modo del vino.
Alessandro Vignali, Produttore nella zona dei colli di Luni nell’azienda Terra di Luna, ultima sperone ligure verso la Toscana, ha circa 3 ettari di cui 2 vitati; la cantina è praticamente interrata, con l’ingresso a nord per limitare l’escursione termica. Ha pannelli fotovoltaici ed un pozzo per l’acqua. Ha un sorriso gioviale e uno sguardo che sprizza passione e gioia per quello che fa; vende le sue circa 10.000 bottiglie con l’obiettivo di ‘andare a pari’ con i costi e la sua sopravvivenza. Produce Vermentino frizzante, beverino, e due Vermentini fermi, uno più giovane e fresco, l’altro con una maggiore struttura, maggior contatto con le bucce, oltre a Granaccia e Syrah.
Lucà, calabrese, produce il raro Greco di Bianco passito e lo imbottiglia in quella che mi pare una pulcianella schiacciata: mi spiega che la forma della bottiglia richiama quella di contenitori di epoca greca ritrovati nella loro zona e che potrebbero aver contenuto il vino, passione anche nell’imbottigliamento.
La (presumo) – mi sono dimenticato di chiedere la relazione di parentela – nipote di Emiddio Pepe , storico produttore abruzzese, ci illustra l’evoluzione del Montepulciano, dai sentori fruttati e croccanti del 2015 alle leggere note di cacao del 2010; in tutti i vini il colore è vivido ed è una costante la freschezza in bocca; ci spiega che nella loro cantina vengono conservate bottiglie di tutte le annate, che per il 2010 hanno conservato in cantina molto oltre il 50% della produzione, perché l’annata è stata molto interessante e valeva la pena farla evolvere prima di metterla in commercio , e che hanno in vendita anche bottiglie degli anni 90.
Marco De Bartoli, oltre ai suoi grandi vini, dal Vecchio Samperi al Bukkuram, al Marsala Superiore 10 anni, presenta un metodo classico a base Grillo, 24 mesi sui lieviti, fresco e delicato, con bollicine fini, elegante; certo, ammette che oramai tutte le cantine devono essere in grado di proporre bollicine perché questo è quello che sta chiedendo il mercato, ma la sperimentazione nella loro cantina era già partita da molti anni, e infatti si capisce dalla qualità del prodotto, oltreché dai numeri attuali: la gestione in cantina su pupitre di 20.000 bottiglie su cui fare remouage a mano é complicata e stanno valutando di passare al giropallet, che <> (parole di De Bartoli).
Salvatore Sedilesu, dell’omonima cantina, promuove il Cannonau con una foga fuori dal comune, spiegando che loro, nella zona di Mamoiada, riescono a produrre vino sì sempre alto di gradi, come quasi tutti i cannonau di Sardegna, ma supportato da una morbidezza e contrastato da una freschezza che consente il riconoscimento dei sentori di frutti neri maturi, delle note erbacee e di quelle leggermente speziate, che emergono da tutti i loro vini rossi, sia il Mamuthone – il loro ‘classico’ cannonau –, che il Carnevalè, passato in piccole botti in parte nuove, che il Cannonau riserva. Il tappo è sempre rigorosamente di sughero, lungo e monoblocco; spiega che, in Sardegna, patria del sughero, la bottiglia di Cannonau, il vino simbolo dell’isola, non può che essere tappata così. E poi, il loro bianco Granazza in due tipologie, con una storia interessante che racconta la passione di questi produttori: una volta, dentro i vigneti di Cannonau venivano piantati alcuni ceppi di uva bianca che, senza grappoli, non sono riconoscibili dall’altro vitigno, assimilati geneticamente a ‘mutazione di cannonau’; le uve bianche venivano raccolte insieme alle rosse e vinificate. Sedilesu ha chiesto di poter vinificare le uve bianche, classificate come Granazza, separatamente, ma questo non è ammesso dal disciplinare, a meno che non si abbia già un vigneto censito come Granazza; così, hanno piantato un vigneto di Granazza e producono due vini bianchi: uno con il nuovo vigneto, e il Perda Pintà, come le sole uve bianche, da vigne di oltre quarant’anni che intercalano le vigne di cannonau.
Dai grandi ai piccoli produttori, una giornata di ottime degustazioni, ma soprattutto un giornata in cui si è respirata a pieni polmoni l’aria frizzante della passione di tutti gli espositori.

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