L’azienda “Klinec” si trova in piccolo paese di nome Medana, situato a ridosso del confine italiano, famoso per aver dato i natali al più importante poeta sloveno del novecento, Alojz Gradnike e naturalmente per il vino.
La strada che mi porta in questo paradiso, è un susseguirsi di colline accarezzate da brezze fresche ancora ricche di salsedine.
Parcheggio l’auto in una piccola piazza in cima ad una collina. Pochi passi a piedi e mi ritrovo davanti a insolite mura intermezzate da un imponente portone, lo apro e rimango abbacinata da una vista spettacolare.
Come onde del mare, le colline vitate si accavallano e si disperdono nell’infinito. Il riverbero del sole sulle foglie e sulla terra trasforma il paesaggio in uno scorcio immacolato.
Mi trovo nel cuore del Collio sloveno, la “Goriška Brda” e mentalmente cerco di imprimere questa immagine nella mia memoria per poterla rivisitare più tardi quando avrò modo di degustare i vini che da oltre cento anni, la famiglia Klinec produce conservandone le modalità produttive degli albori.
Qui il clima è mite e ventilato, grazie alla prossimità dell’Adriatico e alla barriera alpina che cinge la fitta successione di creste, valli e declivi che dai monti digradano fino alla pianura friulana.
Le escursioni termiche sono significative e conferiscono all’uva una concentrazione aromatica di pregevole finezza.
Aleks Klinec è un vignaiolo estremo e integralista, propugnatore della viticoltura biodinamica, fortemente responsabile nei confronti della salvaguardia del pianeta.
La sua visione ecologica lo porta a porre enfasi sui cicli cosmici e le fasi lunari e i suoi sei ettari frazionati in nove particelle, sono coltivati attraverso un inerbimento che consente la gestione del suolo con un basso impatto ambientale.
La vite cresce sulla “ponca”, alternanza di strati di marne e arenaria, ricca di fossili marini e sali minerali che rendono il terreno estremamente friabile e dona ai vini l’inconfondibile mineralità che li contraddistinguono.
Chiedo di visitare la cantina solo dopo aver assaporato i piatti della moglie Simona, un tripudio di gusti e sapori sapientemente esaltati dai vini Klinec.
Sono tre i calici che ho modo di degustare: Mora 2009, Ortodox 2006 e un gradevolmente amarognolo Pinot Grigio 2012.
Tra questi, il MORA 2009, uvaggio bordolese selezionato nelle migliori annate, risulta in assoluto essere una vera opera d’arte: corposo, avvolgente e con una ottima persistenza. Trenta giorni di macerazione, cinque anni di invecchiamento.
Il vino si presenta color rubino dai riflessi granato. Ricco spettro olfattivo, terziario ed evoluto: prugna, ciliegia sotto spirito, tabacco, fieno, liquirizia, rabarbaro, china. Al palato riporta sensazioni di calore con una fine eleganza e un buon residuo di freschezza. Lunga è la persistenza in cui si mescolano aromi vegetali e speziati.
Il successivo è un nettare finissimo, riduttivo definirlo “orange wine”, si tratta di un blend sapientemente equilibrato di Verduzzo (60%), Ribolla (15%), Malvazija istriana(15%) e Jakot (10%). Ortodox 2006 è fermentato con lieviti indigeni e maturato per sei anni sulle sue fecce in botti di gelso e acacia, non filtrato quindi opaco e di colore ambrato. Imponente al naso, con sentori di frutta gialla candita, susina sotto spirito e caramello. In bocca traspare una trama vellutata e corposa, con un finale leggermente minerale, morbido e avvolgente. Un vino armonico contraddistinto da un lodevole equilibrio.
L’ultimo vino è un materico Pinot Grigio 2012, Gardelin. Inizialmente ritroso al naso, si apre donando sensazioni cerate, affumicate, aromatiche di erba e buccia di agrume. Il sorso è minerale, prugnoso, deliziosamente tannico e ammandorlato sul finale.
È sempre Simona a raccontarmi di come si sviluppa all’interno, in cantina, l’opera orchestrata all’esterno dal marito. Scendiamo una ripida scalinata che ci porta ad un piano interrato dal soffitto basso: qui si compiono i miracoli che danno vita ai vini Klinec.
La moglie di Aleks svela con entusiasmo trascinante le magie che si realizzano a partire della vendemmia manuale, passando alla fermentazione in vasche di cemento. Il mosto viene lasciato macerare per diversi giorni e dopo la pressatura, viene posto a maturare in botti di legno (capacità dai i 3 e i 20 ettolitri), tradizionalmente impiegate a partire dalle vecchie generazioni di contadini nel Brda: gelso, ciliegio, acacia e rovere. Durante l’affinamento, che varia da due a tre anni, si compie la fermentazione malolattica a contatto con le fecce. Segue un intervallo in acciaio e infine l’imbottigliamento senza filtrazione e senza chiarificazione.
Risalgo la scalinata e lascio questo piccolo luogo incantato, affascinata dall’irresistibile storia che contraddistingue questa famiglia di produttori eroici. Alle mie spalle, verdi pendici luccicanti cosparse di vigneti.