In occasione di una recentissima vacanza romana, sono tornato dove tutto ebbe inizio, ossia dove la mia passione per il vino compì i primi passi nel lontano 1991: il Goccetto, via dei Banchi Vecchi 14. Da tempo abito lontano da Roma e, quando vi torno, se il tempo e gli impegni me lo permettono, passo al Goccetto per un bicchiere, e, per fortuna, poco è cambiato. Ogni volta che vi entro penso che si tratta di un’enoteca vera, un pezzo della Roma più autentica, a due passi da Campo dei Fiori e Piazza Navona, ma non c’è folclore. Il Goccetto è infatti in linea con lo spirito migliore della città: conserva un carattere informale, vivace e verace, che si fonde con una cultura vinicola solida come la pietra.
Solo parecchi anni dopo il mio primo ingresso, scoprii che il Goccetto è stata l’università di un esperto di vini del calibro di Daniele Cernilli “Non immaginatevi un luogo di culto, quasi asettico, dove ci sono persone che assaggiano in silenzio. Il goccetto somiglia più ad una bolgia dantesca” (Memorie di un assaggiatore di vini, Einaudi)
Cernilli nel suo libro racconta di aver imparato tantissimo seduto al bancone de il Goccetto, da personaggi che non avevano mai frequentato i corsi da sommelier, ma che erano forniti di un naso e un palato sopraffini, educato da anni di degustazioni in compagnia di avventori che sono tutt’altra cosa rispetto ai consumatori critici, agli intellettuali che roteano i bicchieri perché lo fanno tutti, ai declamatori di profumi che riconoscono le bacche mature dell’artico anche nel Tavernello, agli Einstein della vite, ai difensori del terroir o del vitigno secondo necessità e interlocutore e hanno eletto il vino a materia per marziani protagonisti di Enigmi Alieni su History Channel. Se siete di questa pasta, non entrate al Goccetto, lo sconsiglio. Rischiereste di veder smontate (tra lazzi e sberleffi) le vostre granitiche certezze. Se invece cercate la cultura conviviale dell’osteria, il divertimento di una bottiglia di vecchio nebbiolo o di sangiovese d’antan è il posto per voi.
Alle otto di sera, ora dell’aperitivo romano, si entra in questo localino che, oltre ad essere stata l’università del vino della capitale, ai suoi tavoli ha visto nascere i progetti delle guide dei vini d’Italia del Gambero Rosso, e dove, con ampia probabilità, vi siederete accanto a giornalisti enogastronomici, produttori di vino, appassionati e semplici beoni.
Se sarete fortunati e non c’è troppa confusione, potreste riuscire a mangiare qualcosa. Non immaginate che si cucinino chissà quali piatti: il Goccetto è un’enoteca vera e non un ristorante sotto altra forma. Il cibo è un’appendice del re del locale, il vino, che impone di essere accompagnato da formaggi italiani selezionatissimi, salumi di altissima qualità e qualche preparazione tra cui spicca la strepitosa tiella di Gaeta, che non ho mai avuto la fortuna di assaggiare ahimè, sorta di pizza rustica con i ripieni più vari di pesce e verdure.
La vecchia lavagna indica le proposte a bicchiere che ruotano frequentemente. Seguendo la mescita si parte per un viaggio nell’Italia enologica e ascoltando le chiacchere scherzose intorno al bancone si può frequentare un corso di degustazione, dove tra un salame di Varzi e una fettina di caciocavallo podolico potrete ricevere più nozioni di quante ne potreste ascoltare in un corso da sommelier. Tutto ciò non in un luogo serio e noioso, ma molto divertente e mai fighetto, dove le battute ciniche e romanesche si intrecciano a discorsi approfonditi sui lieviti della fermentazione, sulla freschezza di un vino o sul suo potenziale in tannini e sulle prospettive evolutive. Il locale è fornito di circa 800 etichette, che coprono l’intero territorio nazionale, tanta Francia – ovvio che troverete tanta Borgogna, Champagne e regione del Bordolese – e gli altri principali paesi esteri.
Cosa ho bevuto nella mia recente visita? Fiorduva 2015 di Marisa Cuomo, giallo dorato profondo e lucente, bouquet intenso di frutta a polpa gialla, di fiori di ginestra e di salvia, con richiami di frutta esotica e candita. Sorso pieno e morbido, sostenuto da un’infinita mineralità di roccia lavica. Vino elegantissimo, armonioso. In seguito Cesanese del piglio Nunc 2016 di Federici, naso elegante, intenso di frutta rossa sotto spirito che si fonde con note speziate che riportano al chiodo di garofano, al pepe, al sottobosco.
Sorso avvolgente, caldo, morbido, equilibrato e di lunga persistenza.