Sergio Mottura: il vantaggio di essere piemontese

In una bella giornata d’agosto ci dirigiamo verso Civitella d’Agliano nell’Alta Tuscia viterbese per scovare “La Tana dell’Istrice”, si chiama così la struttura ricettiva dell’azienda, che oltre alla cantina comprende un ristornate e un albergo.

Attraversiamo in macchina, con difficoltà, un arco strettissimo, in salita, oltre il quale si apre una piazza medievale e proprio di fronte alla torre ci aspetta Sebastiano, uno dei figli di Sergio, che ci accompagna all’interno della “Tana”.

Entriamo nell’ampio salone di degustazione, dal sapore antico, dove dopo poco ci raggiunge Sergio, persona solare e sorridente che riesce a creare subito con noi il giusto feeling.

Come prima bottiglia assaggiamo lo spumante metodo classico 100% da uve chardonnay, un classico blanc de blanc millesimato 2010, che Sergio ha perfezionato grazie ai consigli di Claude Taittinger, produttore di champagne, e ci racconta:

 “Claude Taittinger mi ha fatto degustare tutti i suoi champagne e ne fa parecchi, tra l’altro ha una cantina anche a Carneros vicino Napa.

Confrontandoli sono riuscito a capire qualcosa di più sul modo di fare le bolle.

Mi ha fatto assaggiare solo i millesimati perché i sans année vengono considerati Champagne commerciali e mi ha detto che uno Champagne da aperitivo deve essere 100% Chardonnay e quindi mi ha consigliato di togliere quel 10% di Pinot Nero che mettevo”.

Dopo il brindisi di apertura, Sebastiano ci mostra la grotta scavata nel tufo risalente al XV secolo dove, per almeno cinque anni, riposa lo spumante.

Questo tufo altro non è che cenere vulcanica che permette un isolamento perfetto e garantisce una temperatura di circa 13 gradi centigradi per tutto l’anno.

Improvvisamente ho un déjà vu, e vengo colpito dalla tipologia di muffa depositata sulle bottiglie a riposo, perché è proprio la stessa che pochi mesi prima avevo notato nella bellissima cantina di A.D. Coutelas in Champagne.

Ritornati in superficie troviamo Sergio seduto su una panca in maniera rilassata, iniziamo a fare due chiacchiere e a bere il Poggio della Costa, grechetto in purezza dai sentori fruttati con una bocca sapida e lievemente tannica nel finale e, secondo la guida Gambero Rosso, il miglior vino italiano in abbinamento agli asparagi. Scopre che viviamo a Torino ed inizia a raccontarci del suo Piemonte, si perché come si intende, Mottura, non è propriamente un cognome laziale e alla domanda “Le manca il Piemonte?”, lui ci risponde così:

“Ma nooo! Perché il tempo qui è un’altra cosa. Mi mancano le montagne, però qui a pochi chilometri abbiamo un mare stupendo. Il Piemonte me lo sono goduto, specialmente Torino, alla grande!” 

e preso dai ricordi continua:

 “Quando ero giovane non c’erano le televisioni o cose del genere e quindi il sabato si andava per Piole, per trattorie e per cantine. Poi tutti quanti erano produttori di vino. Quindi si andava da uno, si andava da un altro, si andava su in montagna. Quando sono arrivato qui, non c’era niente! Noi quando andavamo a sciare in montagna al Sestriere qualsiasi occasione era buona per aprire delle bottiglie. Aprivamo lo Chablis, gli Champagne, i Bordeaux, i Sauternes come lo Chateau d’Yquem; intendo dire che avevamo già al tempo una cultura del vino. 

Quando sono arrivato qui, ho assaggiato i vini e non erano niente di speciale, ma quando ho assaggiato un Grechetto in purezza mi sono detto: ”Ecco questo vale la pena vinificare!”

Questo è il vantaggio di essere piemontese, se bevi certi vini è più facile riconoscere quello buono.

Chiedo a Sergio cos’ha il grechetto in più delle altre uve:

“Il Grechetto è un’uva difficile, molto tannica e ha bisogno di una pressatura molto delicata. Se da una parte questi tannini sono scomodi dall’altra garantiscono una grandissima longevità. Abbiamo delle bottiglie di 20 anni che sono fantastiche”.

E’ davvero piacevole parlare con Sergio, ti racconta mille aneddoti e staresti ore ad ascoltarlo senza stancarti mai.

Così voglio togliermi qualche altra curiosità, come capire perché il simbolo della cantina è proprio l’istrice:

“Noi coltiviamo le uve in Biologico dagli anni 90, quando abbiamo preso la certificazione. L’istrice è un animale protetto e ha un sistema immunitario molto delicato, da quando abbiamo adottato un regime biologico gli istrici hanno ripopolato i vigneti e sono tornati parte dell’ecosistema”.

La vita di Sergio e dei suoi vini è ricca di storie e di curiosità, non per ultima, la nascita del suo meraviglioso grechetto Latour a Civitella:

“…Era il 1993 e noi (un gruppo di 30 produttori di ogni parte del mondo rappresentati in Germania dallo stesso importatore) eravamo in un battello-ristorante sul canale di Berlino per festeggiare l’ottantesimo compleanno di Robert Mondavi.

Decidemmo di utilizzare per la serata le bottiglie aperte per la degustazione del pomeriggio. Così, durante la cena, al tavolo di Louis Fabrice Latour capitò una bottiglia del mio Grechetto ‘Poggio della Costa’ 1992. Avevo già partecipato insieme a Louis Fabrice a diverse degustazioni, ma com’è consuetudine per i produttori francesi nei confronti degli italiani, non aveva mai assaggiato i miei vini prima di allora.

Il giorno dopo complimentandosi con me per la qualità del vino, mi chiese come mai non avessi provato un affinamento in legno; risposi che in realtà le prove fatte non avevano dato risultati apprezzabili. Gentilmente si offrì di darmi qualche ‘barriques’ della sua produzione già selezionati per vini bianchi e soprattutto il ‘know how’ per utilizzarli.

Aveva ragione: il suo aiuto è valso una generazione di esperienza!

Nel 1994 è nata la prima annata di ‘Latour a Civitella’ e nel 2001 è diventato il primo vino bianco nella storia del Lazio ad ottenere l’ambito riconoscimento dei 3 Bicchieri nella Guida ai Vini d’Italia di Gambero Rosso”

 

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