Amicizie in bottiglia

Sono due anni che ci troviamo costantemente dietro a questo tavolo, nella stessa casa, in pieno centro di Torino, a ridosso di Piazza Statuto. Le solite quattro facce, più qualche comparsa che si aggiunge di tanto in tanto. Sul tavolo, cibi in abbinamento di vario genere, bicchieri e bottiglie rigorosamente avvolte da carta stagnola.

Nessuno sa quali siano i vini degli altri, eccetto il proprio.

Di solito si inizia sempre con una bolla o un bianco, per poi proseguire con vini via via più strutturati.

“Chi inizia?” chiede il padrone di casa.

“Faccio io?” risponde quello alla sua sinistra.

“E’ un vino cristallino, anzi, direi brillante per via di questa bella lucentezza… “

C’è silenzio nella stanza, tutti ascoltano attentamente l’analisi di quel vino ed è concesso intervenire solo quando si arriva alla fase del riconoscimento degli odori.

“Banana, pera, frutti tropicali… un leggero sentore di burro fuso e vaniglia, siete d’accordo?” domanda chi sta conducendo la degustazione.

Terminata l’analisi viene assegnato un punteggio al vino, ma non prima di aver motivato la scelta di quella valutazione.

“Lo premio sul colore, sulla complessità e sulla persistenza… 86”

“Che cosa può essere?” domanda il padrone di casa, proprietario di quella bottiglia coperta.

“Forse uno Chardonnay?” dico io.

“Ok, si, ma da dove può provenire?”

“Data la morbidezza, mi fa pensare ad un frutto maturo che ha preso molta luce, può essere siciliano?” insisto.

“No, vi arrendete?” chiede.

“E’ uno Chardonnay della Galilea prodotta da Golan Heights Winery”

I vini più improbabili li ho bevuti in questa casa. Tutti alla ricerca di quel raro vitigno di quella parte del mondo che va raccolto solo negli autunni di luna piena. Si fa a gara a portare la bottiglia più rara, la meno commerciale, la più sconosciuta.

Maledetti! Quante cantonate ho preso, ma, nonostante tutto, quanta voglia di conoscere e misurasi.

Quello che inizialmente era uno studio di preparazione all’esame da Sommelier è diventato, con il tempo, un laccio che ha intrecciato le nostre vite. Cosa non si dice degustando del buon vino. Questo liquido odoroso, come lo chiama Sandro Sangiorgi, è un grimaldello che apre i nostri cuori e li mette in comunicazione con gli altri, è questo quello che si intende per convivialità, ci libera delle nostre maschere almeno per un momento e, per un momento, si ritorna bambini, si vive di ricordi, ci si racconta le storie più intime, le debolezze e quei peccatucci che ognuno di noi sapientemente tiene segregati in quella parte di sé che poi, giorno dopo giorno, dimentica.

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