Quando arrivammo a Broni all’Azienda Agricola Barbacarlo, Lino stava fumando su una sedia e con lui c’era il suo amico e scrittore Valerio Bergamini autore del libro: Lino Maga anzi Maga Lino. Il signor Barbacarlo. La stanza era dominata da un grande tavolo di legno e tutto intorno c’erano libri e bottiglie di Barbacarlo e Montebuono. Accanto al camino e sulle pareti c’erano attestati di riconoscimento e cartoncini con varie frasi scritte dai suoi amici più cari: “Non fare del bene a nessuno se non sei sicuro di doverne sopportare l’ingratitudine” scriveva Gianni Brera detto Giuàn, “La vite è il canto della terra verso il cielo” diceva Gino Veronelli e così tanti altri.
Senza molti convenevoli, Lino ci fece sedere e lentamente ci servì dentro piccoli bicchieri da degustazione il primo vino: il Barbacarlo 2015 e con voce fievole disse: “la ’15 promette bene, la ’16 la imbottiglio ad Ottobre”.
Nel 2015 ha prodotto solo ottomila bottiglie perché cinghiali e caprioli hanno portato via parte delle uve. La sua collina ha una pendenza del 65% dove i trattori non riescono ad andare, per questo motivo la vendemmia è tutta a mano con una resa di 30 quintali ettaro.
Noi ci guardavamo bene da non dire cose inopportune, tipo “questo vino sa di pepe nero… o di rosa appassita”. Eravamo lì ad assaggiare il suo vino in religioso silenzio e profondo rispetto. Il suo sguardo non lasciava spazi, si capiva che non amava gli enofighetti.
Quando sei da Maga hai la fortuna di bere la storia, di fare un salto nel passato, di essere di fronte non tanto ad un produttore quanto ad un combattente. Le sue battaglie legali per il riconoscimento della sua collina sono ormai note a tutti.
Quando gli domandammo “come mai il suo vino invecchia così bene?” lui ci rispose “è la natura, è la tradizione. Il vino dell’Oltrepò invecchia in bottiglia. Non puoi fare un vino che fanno… non so… a Barolo o Barbaresco. L’Oltrepò ha i suoi usi e costumi come tutte le regioni d’Italia. L’Italia è ricca di piccoli numeri di qualità che il mondo non sa fare e ci invidia”
Lino ha i suoi tempi, è seduto davanti a noi in silenzio, con quella sigaretta sempre accesa che lo accompagna dal ’53, dal tempo del militare a Palermo. Un giorno tentò di smettere, ma non andò mai oltre i tre giorni.
Tra una boccata di fumo, un silenzio e due parole ci raccontò della sua vita, dell’Oltrepò, delle sue battaglie e del suo vino con un ritmo lento e cadenzato.
“La morte è solo un interruzione del lavoro” esclamò. Chi ancora oggi direbbe mai una frase del genere? L’inverno quando non può lavorare a causa della neve, scrive poesie. Lino deve sempre trovare un modo per tenersi occupato, l’idea di non fare niente lo fa sentire inutile.
Gli occhi di Lino mi ricordano tanto gli occhi di mio padre, occhi sinceri, onesti, occhi di chi ha condotto una vita con la schiena dritta seguendo le proprie regole di moralità e di giustizia.
I minuti scorrevano, ma la sensazione era che quel posto non avesse tempo. Tutto si era cristallizzato nei ricordi di Lino che, nonostante l’età, ricordava con una esattezza disarmante ogni singola vendemmia della vita, ogni singola storia. Come quella volta che si era cappottato con il trattore e si era rifiutato categoricamente di andare in ospedale perché “in vendemmia non si va da nessuna parte!” aveva risposto alla famiglia preoccupata.
L’orologio segnava le 12, in stanza entrarono la figlia con il nipote, il tempo dei ricordi si era spezzato e per noi, era ormai tempo di andare.